Come narriamo i luoghi
24th May 2025
Testo di Valerio Cruciani
Foto di Virginia Monteforte
Memorive, Correnti di Storie
Laboratorio di Racconto e Scrittura Creativa
8 maggio 2025, La casa di Ilde, Morcone (BN)
Durante la serata di apertura del laboratorio «Correnti di storie» aperta al pubblico di Morcone (BN) e dintorni, ho ragionato intorno al tema della narrazione dell’identità, intesa sia in merito all’idea di individuo, sia in merito ai luoghi. In particolare, visto il contesto in cui si svolgeva questo laboratorio, mi sono concentrato sui piccoli paesi lontani dai grandi centri urbani.
Era la prima volta che andavo nella valle del Tammaro. Dal pullman che attraversa le zone rurali si possono vedere le enormi pale eoliche che costellano le campagne e le creste dei monti, interrompendo in modo irreparabile lo sguardo. Questo azzoppare l’infinito è uno dei segni più evidenti dei tempi in cui viviamo: feriamo e cicatrizziamo il paesaggio, sacrifichiamo lo sguardo che perde la possibilità di vagare senza soluzione di continuità da un punto all’altro dell’orizzonte, abituiamo la nostra mente e la nostra fantasia alle trame, alle interruzioni, all’affastellarsi di punti di riferimento verticali, cancelliamo l’orizzontalità. Cementifichiamo la possibilità stessa dell’infinito arrendendoci al momentaneo, al puntuale, al finito. E tutto questo per cosa? Per avere un po’ di energia elettrica in più. Uccidiamo il chiaro di luna e freniamo in anticipo la possibilità di naufragare con dolcezza oltre la siepe, per applicarci a cose più utili, funzionali, redditizie forse. Per l’elettricità.
Dal pullman, dicevo, si può osservare tutto questo. In un paese come Morcone l’arrivo delle grandi compagnie elettriche porta scompiglio e novità. Mi viene in mente un film straordinario, che dovrebbero vedere tutti gli abitanti di questi centri: si tratta de As bestas, di Rodrigo Sorogoyen (Spagna, 2022). Ne racconto brevemente la trama e metto in evidenza le possibili analogie con quanto può interessare i paesi del Tammaro. Una storia come questa, che riguarda un paesino lontano tremila chilometri da Morcone, può dialogare anche con un pubblico così diverso. Solo quando gli eventi che interessano un luogo si fanno storie, assumono un significato (o più significati) e possono essere tramandati, trasmessi, riadattati. Fino a diventare potenzialmente infiniti, vere e proprie lezioni di storia e di vita. Leggende.
Passo a un esempio analogo ma che non è giunto a dare vita alla sua narrazione. Parlo del mio paese, Colforcella, una minuscola frazione di Cascia, in Umbria. La zona è quella della Valnerina, un’area interna nascosta, chiusa, difficile, fatta di gole strette e tortuose e montagne alte e coperte di boschi, punteggiate qua e là di piccoli borghi medievali. Il paesino di cui parlo è quasi disabitato e il suo destino sembra lo stesso di tutti gli altri. All’improvviso, nella sua immobilità e nel suo sembrare invisibile ai radar dei viaggiatori, ecco che un ricco dirigente di una famosa società sportiva si accorge dell’esistenza di Colforcella. In particolare lo attrae un vecchio palazzo malandato, una volta proprietà di una famiglia di potenti proprietari terrieri poi caduta in disgrazia per colpa del gioco, dell’alcol, delle macchine e dei tempi che cambiano. Il palazzo è miracolosamente sopravvissuto a due grandi terremoti, ma è pericolante e disabitato da almeno quarant’anni. Il suo destino era quello di finire ridotto in un cumulo di macerie. Ed ecco che dal suo elicottero il ricco punta il dito: lo compra. Dopo un anno iniziano i lavori, le voci si spargono: lo farà diventare un resort di lusso, con tanto di SPA e ristorante. Il paese intero e quelli dei dintorni sono in attesa, le aspettative crescono insieme alle speculazioni.
A tutto questo manca una storia. Nessuno l’ha ancora raccontata, perché nessuno ci ha pensato e in realtà ancora non è successo niente che possa dare adito a una narrazione. Chi è davvero il nuovo proprietario del palazzo Marziani? Come ha trovato questo rudere sperduto tra le montagne venendo dalla capitale? Perché l’ha comprato? Cosa succederà dopo l’inaugurazione?
A queste domande non c’è ancora una risposta, ma è chiaro che questo evento genererà una nuova storia del paese, nuove memorie, porterà nuove persone. Nessuno, ora, può ancora dire se la storia avrà esito positivo o negativo, ma è chiaro che come narratore posso e devo prestare attenzione a ciò che sta per succedere. Questo, in realtà, può farlo chiunque. Basta avere «orecchio» per le storie.
Facciamo, quindi, un ulteriore passo in avanti e cerchiamo di capire da dove vengono queste storie che hanno a che fare con la memoria e come generano narrazioni «popolari» o «letteratura».
Dedico qualche parola al passaggio dall’oralità alla scrittura e sostengo che non è automatico né garantito. Avviene quando in un certo senso assistiamo a una stratificazione della spontaneità. Da qui si generano infiniti rivoli che, per semplificare, possiamo raccogliere in due grandi bacini: quello della letteratura e quello del racconto popolare. Nel contesto di questa breve presentazione sento che l’argomento piace e che in qualche modo sono riuscito a catturare l’attenzione dei presenti. Vorrei parlare ancora a lungo, ma mi fanno cenno di tagliare, anche perché abbiamo iniziato in ritardo. Dunque vado al sodo e dato che mi piacciono le definizioni, anche se non credo nella loro staticità e solidità (o forse proprio per questo), in breve affermo che è letteratura tutto il patrimonio di scritti che vengono prodotti da qualcuno riconosciuto come autore e che hanno come scopo quello dell’intrattenimento. Intrattenere attraverso un uso «artistico», «creativo», «non normativo» della lingua e dei linguaggi. Intrattenere per raccontare storie e quindi per trasmettere valori e saperi di ogni genere.
Per racconto popolare, invece, si intende una narrazione che non ha un autore riconoscibile perché affonda le sue radici nella memoria della comunità e nell’uso che una collettività fa della propria lingua, del proprio immaginario, del proprio sapere. Non nasce con lo scopo di essere fissato su carta, questo è un passaggio successivo non garantito né previsto.
E allora, per tornare all’argomento principale di questa introduzione, che nesso possiamo trovare tra la realtà odierna dei paesi delle cosiddette «aree interne» e la loro narrazione? Se guardiamo un attimo ancora alla tradizione letteraria orale e scritta, ci accorgiamo che ad entrambi gli ambiti succede una cosa simile: la fossilizzazione. Prima parlavo di stratificazione della spontaneità. Ecco, immaginiamo che in un’area, in un paese che oggi soffre di spopolamento, si rischia di dimenticare il patrimonio di storie che si sono accumulate nel corso dei secoli e che hanno formato il sostrato minerale della coscienza collettiva di quel paese o di quell’area. Cosa può succedere? Le strade mi sembrano solo due: quella della morte per oblio o, nel migliore dei casi, di musealizzazione di quel patrimonio; o quella di una nuova circolazione di questo patrimonio narrativo, una seconda vita rigenerata da nuovi soggetti, nuove storie, nuovi linguaggi che abbiano a che fare direttamente con il territorio, col suo presente e con il suo futuro.
Ecco dunque che interventi come questo laboratorio, all’interno di una cornice ampia come quella di TAM, con tutte le sue sfaccettature e le sue iniziative culturali, possono essere alcune delle strade da percorrere per dare una nuova voce a Morcone e, in generale, ai paesi in via di spopolamento. Infatti, convogliando qui persone che vengano anche da fuori, prive di collegamenti di parentela, e facendole interagire con la realtà locale, si crea quella chimica dalla quale scaturiscono nuove storie. Ovvero, una nuova, mobile, verde identità per un paese che non vuole accettare quello che sembra essere un destino già scritto.